E’ DAVVERO NECESSARIA UNA NUOVA CHIESA?

Ovvero:
perché abbiamo deciso di fondarne una e non ne siamo pentiti

I problemi della società contemporanea potrebbero in qualche misura riassumersi in questo: l’epoca neoliberista in cui stiamo vivendo è una “….età in cui il capitalismo avanza senza essere frenato da nessun conflitto ben organizzato politicamente soprattutto (per) l’imporsi di un governo unico delle passioni”.
Secondo le tesi esposte da Ginsborg e Labate (2016), il neoliberismo ha ormai per decenni solleticato e sviluppato le nostre passioni – il consumo, l’apparire, il competere – così profondamente e così abilmente che pur di soddisfarle siamo disposti ad accettare politiche che un tempo avremmo rigettato, la riduzione dei diritti, la competizione a tutti i livelli. Siamo divenuti così succubi che accettiamo senza discutere proposte politiche povere di idee e di pluralismo, purché possiamo pensare di poter soddisfare le ambizioni, anzi le passioni, indotte in noi nell’ultimo mezzo secolo. Noi infatti vogliamo essere competitivi, vogliamo pensarci imprenditori di noi stessi, vogliamo avere come obiettivo primario l’arricchimento individuale.
In ambito politico “…l’uso ideologico delle passioni positive (serve principalmente) ad addolcire la pillola delle conseguenze brutali di decisioni economiche e politiche nella nostra vita quotidiana. Il loro uso non serve a rafforzare gli spazi di critica politica ma ad anestetizzarli”. Insomma “il neoliberismo governa non solo l’economia ma anche le passioni nel consumo, nel tempo libero, nel culto del narcisismo, persino nella vita politica”.
Tutto questo può esprimersi in modo più comprensibile dicendo che la società contemporanea ha sfruttato le nostre giuste passioni e ambizioni (la voglia di fare politica, l’impegno nell’associazionismo, il desiderio di migliorare noi stessi e la nostra condizione), trasformandole in desideri egoistici ed esclusivi. La politica non si fa più anche per soddisfare la nostra ambizione di esprimere noi stessi, ma esclusivamente per questo, dimenticando che essa ha prima di tutto come obiettivo il benessere della collettività; l’impegno nell’associazionismo non è più dono del nostro temo e delle nostre capacità agli altri, ma spazio per arrampicarsi socialmente in posizioni di un qualche, a volte tanto, potere; l’ambizione non è più una passione che stimola i nostri comportamenti migliori, ma i peggiori, che ci spinge a sgomitare calpestando tutto e tutti per raggiungere i nostri obiettivi.
Le Chiese possono considerarsi al riparo da questa evoluzione della società contemporanea? Mi piacerebbe, ma temo proprio di no. Anzi, probabilmente è proprio nelle Chiese che queste passioni “pilotate” dal neoliberismo si esprimono al peggio. Nelle Chiese infatti domina l’idea che quello che viene fatto è nell’interesse di una “comunità di Cristo”, per cui chi agisce in quest’ottica si sente sostanzialmente assolto nel proprio agire dalla giustificazione che tutto viene fatto “nell’interesse della Chiesa”.
Ma di quale tipo di chiesa stiamo parlando? Che ci si rivolga alla Cattolica Romana o alle varie denominazioni protestanti, l’idea che domina è quella dell’Istituzione con la I maiuscola, della struttura umana con regole, codici, discipline, tradizioni scritte e non scritte; organismi di gestione, di guida, di amministrazione, sempre più numerosi, presieduti da pastori, coordinatori, sacerdoti, vescovi ecc. ecc. Se si agisce nell’interesse della Chiesa così intesa ci si sente assolti, si ricevono i complimenti dei vertici istituzionali, siamo a posto con la nostra coscienza.
Le conseguenze però non mancano e si vedono. Soprattutto in alcune confessioni e denominazioni, la Chiesa come corpo di Cristo, cioè la Comunità, ne risente pesantemente. L’allontanamento dei giovani, le chiese vuote con pochi fedeli anziani ai culti, l’invecchiare e l’esaurirsi degli entusiasmi, il malcontento diffuso che fatica ad esprimersi per stanchezza e delusione, sono il risultato di questa evoluzione negativa, che ha condotto all’abbandono della cura pastorale per trasformarla in imposizione di regole avulse ormai da qualsiasi radicamento spirituale. A questa trasformazione, mi duole dirlo, sono convinta che abbia contribuito, in alcune chiese in particolare, l’aumento consistente, anche rispetto al numero di membri di chiesa, del gettito economico attraverso l’otto per mille. L’arrivo di così tanto denaro ha probabilmente trasformato i cuori, dando una vertigine di potere che non può non aver lasciato tracce e questi effetti sono tanto più visibili tanto più le Chiese che usufruiscono di questi molti denari sono piccole minoranze.
Del resto non fu Lutero che chiamò il denaro “lo sterco del diavolo”? E non sempre perché si siano insinuate nella gestione disonestà o corruzione, ma per il semplice esercizio del potere (che non esclude purtroppo anche un certo grado di familismo e clientelismo, effetti visibili e malefici di questo ripiegarsi su se stessi e sulle proprie ambizioni e conseguenza del neoliberismo).
Le Chiese si sono focalizzate su come spendere questo denaro, su come amministrarlo, su una gestione economica che ha sopravanzato di molto l’aspetto spirituale e pastorale. Le Chiese in questo modo si sono sclerotizzate, tendono alla conservazione delle posizioni anziché alla loro messa in discussione, e hanno così perduto quello che io considero un prezioso plusvalore rispetto a partiti e associazioni: la Chiesa intesa come comunità cristiana è infatti principalmente ricchezza spirituale, dove i conti certamente si fanno ma sempre avendo ben presente che l’obiettivo primario non è il pareggio di bilancio, ma la diffusione dell’Evangelo e la serenità delle comunità.
Insomma, soprattutto nel mondo protestante l’ecclesia reformata semper reformanda si è trasformata dapprima in una ecclesia mater reformationis e poi in una ecclesia mater et magister.
In questo contesto qual’è la condizione del credente e dell’ateo in ricerca che si sono avvicinati alla Chiesa (una qualsiasi delle nostre chiese protestanti), cercando conforto spirituale, solidarietà, accettazione della diversità, spirito fraterno? E’ la condizione di chi riceve per l’ennesima volta una profonda delusione.
Se le voci critiche interne alle chiese vengono estromesse senza tanti complimenti, se i nuovi che arrivano non trovano accoglienza vera e disponibile, se la ricerca della spiritualità viene frustrata dai personalismi e dagli egoismi, se infine si creano nelle chiese le scale sociali (chi c’è sempre stato e chi arriva ora, chi può permettersi un certo livello di contributo e chi non può permettersene alcuno ecc.) ecco, chi si avvicina, se ne va anche velocemente.
Dopo queste considerazioni, per rispondere alla domanda iniziale, la necessità di una nuova chiesa, devo spiegare cosa è accaduto a noi e perché abbiamo deciso di costituire la Chiesa Protestante Unita.
Siamo stati avvicinati da varie persone, reduci da deludenti, se non addirittura dolorose esperienze in Chiese tradizionali e consolidate (da quelle cattoliche a quelle protestanti per arrivare alle evangelicali), che hanno iniziato a partecipare alle nostre riunioni, alle nostre preghiere, che hanno cominciato a parlare di se stesse trovando ascolto e attenzione. Hanno fatto richieste e proposto iniziative e idee. Hanno anche raccontato perché non si erano trovate bene altrove, hanno detto o fatto capire chiaramente cosa cercavano. Era lo stesso che cercavamo noi, primo piccolissimo nucleo della nuova chiesa: un ritorno alla spiritualità, all’ascolto, al non parlarsi addosso, al dare importanza a ciò che davvero ce l’ha. Non lo “stile” del culto (a me piace molto sobrio, calvinista, il nostro pastore a Firenze non esita a metterci qualche elemento metodista o luterano), non “candele sì, candele no” e neppure “responsorio sì, responsorio no” perché non sono queste le cose che contano. E neppure toga si o toga no, il cane che ti accompagna alle letture sì o no (da noi i cani e tutti gli animali sono benvenuti, sono creature di Dio e nostri fratelli e sorelle). Quello che conta sono i nostri rapporti con le persone che ci circondano, che si avvicinano a noi, impostati secondo la nostra relazione con Dio. Le nostre passioni insomma riportate in un ambito comunitario: condivisione, chiarezza, rispetto, uguaglianza e compassione, empatia, al di là dei ruoli, delle professioni e del censo di ciascuno. Va bene anche difendere il patrimonio spirituale e teologico della Riforma ma senza diventare (come molte Chiese istituzionalizzate hanno fatto) i nuovi scribi e farisei di una tradizione fine a se stessa o usare questa tradizione come schermo (spesso volutamente forviante) per tradizioni che nulla hanno a che vedere con la Scrittura e gli scritti dei riformatori. Lutero è ancora attuale, a patto di non fossilizzarlo in un passato che non è suo ma che può fare comodo alle istituzioni.
Una chiesa così non l’avevo ancora trovata. Sì, penso proprio che una nuova chiesa fosse necessaria.

Marta Torcini

Le citazioni sono tratte da: P. Ginsborg – S. Labate, Passioni e politica, Torino, Einaudi, 2016.

Autore dell'articolo: wp_2235727

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